domenica, luglio 08, 2007

Ermeneutica del Vangelo

Con questo post apro una nuova rubrica, “ermeneutica del Vangelo”, che mi permetterà di raggiungere i seguenti obiettivi, che corrispondono ad altrettante diverse esigenze personali:

1) Il primo obiettivo che si prefigge questa sezione del blog è l’applicazione al Vangelo di una prassi esegetica fuori dagli schemi tradizionali, sul solco già tracciato dalle teologia femminista e della Liberazione, ossia di una teologia che prenda spunto innanzitutto dal vissuto quotidiano del credente e che non si uniformi pedissequamente a una dottrina impagliata in astrusità e sofismi, una dottrina che fa acqua da tutte le parti e che ci fa sentire il Dio in cui crediamo lontano e indifferente all’umanità.
2) La premessa di cui sopra non dovrà essere intesa come una riproposizione in chiave personale delle esperienze teologiche del femminismo e dei teologi dell’America Latina. Nonostante consideri la teologia femminista e della Liberazione il fiore all’occhiello della riflessione teologica cattolica, e nonostante ne sia imprescindibilmente suggestionata, data la validità degli assunti di entrambe e il contributo che, in termini di freschezza e di innovazione, esse si fanno portatrici in un panorama teologico dominato dal cattotradizionalismo, cercherò, per quanto possibile, di elaborare un’ermeneutica su base soggettiva, in accordo con la mia sensibilità di credente aconfessionale e adogmatica, applicando al tempo stesso una metodologia che abbia come punto di riferimento il principio pluralista, che proprio da quelle teologie è scaturito e ha ricevuto il crisma della legittimità.
3) Il terzo obiettivo che con questa ricerca ermeneutica mi impongo di realizzare, è quello di far riguadagnare posizione, carisma e autorevolezza a una riflessione marcata al femminile, sempre più emarginata da una Chiesa misogina, autoreferenziale ed escludente. L’aspirazione a riguadagnare terreno nella storia (o a ritagliarsi il proprio spazio per chi ritiene che le donne non ne abbiano mai avuto all’interno del cristianesimo), si può concretamente tradurre in diversi modi, dal rivendicare ruoli guida all’interno delle istituzioni ecclesiastiche, al difendere la propria autodeterminazione relativamente a scelte che riguardano il corpo (come l’aborto) o il proprio modo d’essere e di pensare la fede, o all’intaccare il monopolio interpretativo dei testi sacri. Un modo, a mio avviso molto efficace, per togliere alla teologia maschile il monopolio esegetico sulle sacre scritture, consiste nel sfidare i detentori di tale monopolio sul loro stesso terreno, che è quello dell’esegesi neotestamentaria e del discorso teologico che su di essa si costruisce, minandone alla base quei fondamenti sui quali si basa una interpretazione del Vangelo univoca, concordante con la dottrina cattolica e perciò stesso da invalidare.
4) Un quarto obiettivo, non meno importante degli altri, è quello di definire una cristologia liberatrice, intendendo con ciò una visione di Gesù e del suo messaggio inseriti in un’ottica di liberazione dalle catene del dogmatismo e delle pastoie dottrinarie smerciate come verità assolute dalla Chiesa, che di fatto soffocano la libera espressione teologica del credente. Come è risaputo, infatti, la Chiesa insegna che al di fuori di essa e al di fuori dell’adesione incondizionata ai suoi insegnamenti non c’è salvezza per il fedele, chi si pone con un atteggiamento di rifiuto o anche di critica verso la dottrina cattolica è condannato alla dannazione eterna. Si tratta, oltre che di un atteggiamento intollerante che discrimina una buona percentuale degli abitanti di questo pianeta (che cattolica non è), di un atteggiamento che mira a uccidere la libera espressione teologica sia all’interno che all’esterno della Chiesa. Se con il Concilio vaticano II si erano aperti degli spiragli in direzione dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, a partire dall’ascesa di Giovanni Paolo II si è imposta una tendenza inarrestabile alla restaurazione e all’indottrinamento su base conservatrice del popolo dei fedeli, è si è sguinzagliato un organismo, la Congregazione per la dottrina della fede, che ha imposto una fede devozionale e spersonalizzata, in opposizione a una fede matura, esternazione della coscienza del credente. La moderna Inquisizione ha mietuto vittime soprattutto in quei luoghi e in quelle realtà ecclesiali dove l’influenza della Chiesa era meno forte e dove vi era perciò ancora spazio per elaborazioni teologiche non allineate. Il pluralismo è stato quindi soppiantato dall’omologazione teologica attraverso lo spauracchio rappresentato dal prefetto Ratzinger.
5) La definizione di teologia come pluralità di voci, di sensibilità e di carismi in un contesto di riconoscimento e di valorizzazione di tutte le posizioni, è poi un altro obiettivo irrinunciabile, e a questo punto va fatta una considerazione non del tutto scontata. Qualsiasi discorso teologico è per sua natura limitato, soggettivo, fallibile e persino superabile, cioè aperto alle modifiche e agli stimoli derivanti dal dialogo e da un confronto anche acceso. Detto ciò, è da rigettare qualsiasi pretesa di infallibilità sia essa rivendicata dalla gerarchia ecclesiastica o da singoli individui. Una delle poche conquiste della teologia medievale è la concezione di Dio come entità onnipotente, onnipresente e onnisciente. L’onniscienza è un attributo appartenente solo all’essere divino o alla Trinità, (per i cristiani che credono in tale dogma), dunque qualsiasi pensiero teologico, prodotto della riflessione umana, rifletterà la limitatezza e l’imperfezione che caratterizza l’essere umano, è non potrà in alcun modo essere ammantato di una veste di assolutezza e di infallibilità. Inoltre, la storia del cristianesimo ci insegna che gli errori che le istituzioni ecclesiastiche hanno commesso in nome dell’infallibilità, altro non sono che ulteriori conferme di quanto sopra espresso.
6) La definizione di teologia come movimento, evoluzione, in conformità con quanto afferma Gesù in Gv. 3,8: “Il vento spira dove vuole: ne senti la voce, ma non sai né dove viene, né dove va; così è d chiunque è nato dallo Spirito”. Anche in questo caso ci può essere d’aiuto la storia del cristianesimo: quante dottrine, quanti insegnamenti errati, che sino a poco tempo fa, erano considerati verità rivelata, sono stati corretti o abbandonati? Pensiamo alla credenza nell’esistenza dell’Inferno o alla teoria geocentrica confutata da Copernico e da Galileo! Non è forse vero che alle sue origini il movimento cristiano era frantumato in correnti e comunità spesso in disaccordo o addirittura in concorrenza tra loro? Pensiamo all’ostilità tra i giudeocristiani guidati da Giacomo il giusto e le comunità paoline e alla loro differente interpretazione della fede cristologica e della sua collocazione all’interno dell’ebraismo; già pochi anni dopo la morte di Gesù emersero divergenze teologiche tra i vari gruppi che si richiamavano a Lui e alla sua predicazione e che rivendicavano la leadership all’interno del nascente movimento cristiano. Ma, al di là degli interessi di parte e spesso per niente nobili, queste comunità delle origini elaborarono una cristologia e una teologia a partire dal proprio contesto socio-economico e religioso di riferimento, di conseguenza ognuno sponsorizzava il proprio “Gesù”: così il Gesù dei seguaci di Giacomo appariva con sembianze giudaizzanti, il Gesù di Paolo come un salvatore dai tratti simili alle divinità dei culti pagani dell’Asia minore, il Gesù dei seguaci di Giovanni come un rivelatore, il Logos incarnato ecc. Se, quindi, già da subito si manifestò, in tutta la sua ricchezza creativa, un pluralismo teologico il cui nucleo centrale, pur tra mille espressioni, era la fede in Cristo, la sua morte e la sua resurrezione, perché oggi, a distanza di duemila anni, la Chiesa, che si autoproclama unica depositaria della tradizione apostolica, esige una cieca ed insensata obbedienza alla propria dottrina? Perché pretendere una omologazione dottrinaria se nemmeno gli apostoli, e men che meno Pietro, il primo papa secondo il catechismo, avevano le idee chiare in materia dottrinaria e, soprattutto, nonostante ognuno di loro tirasse acqua al proprio mulino, non aspirò mai ad elaborare una briciola di dottrina vincolante per tutti i credenti in Cristo e nemmeno pretese di imporre le proprie idee ad altre comunità, come dimostra il compromesso raggiunto ad Antiochia tra Paolo e la comunità petrina (dove Pietro dimostrò un senso del realismo da fare invidia all’attuale papa)? Non è la stessa dottrina cattolica il prodotto della convergenza di posizioni teologiche inizialmente antitetiche, come si evince dalla composizione del canone del Nuovo Testamento, dove coesistono teologie e cristologie profondamente discordanti, espressione della fede di comunità autonome e spesso autoreferenziali?
7) Infine, è lo stesso Vangelo che ci invita a interrogarci su Gesù di Nazareth, sulla sua missione e sul suo significato: “Ma voi, domandò loro, chi dite che io sia?” (Mt. 16,15). Allora, come si ricava dalle diverse risposte che i discepoli danno all’interrogativo posto da Gesù, l’importante non è dare la risposta giusta, come vuole la Chiesa, ma interrogarsi continuamente, ricercare il senso che sta dietro alla vita e alla morte di un uomo che ha cambiato il corso della storia, e ognuno di noi può farlo non a partire da una fede astratta, ma da una fede che si concretizza nelle difficoltà e nelle esperienze che la vita ci riserva.
E’ perciò proprio sulla base di tali argomentazioni che intraprenderò questo itinerario alla scoperta del Nuovo testamento e della sua eterogeneità teologica, sperando di fare un buon lavoro e di offrire nuovi spunti di riflessione ai lettori di questo piccolo blog.
Buona lettura a tutti!

Gnostica

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Gesù disse, "Se coloro che vi guidano vi diranno: "Ecco, il Regno è nei cieli", allora gli uccelli dei cieli vi precederanno. Se vi diranno: "E nei mari", allora i pesci vi precederanno. Il Regno, invece, è dentro di voi e fuori di voi. Vangelo di Tommaso, Loghion 3