sabato, giugno 09, 2007

Il cristianesimo è una scelta esistenziale

Il cristianesimo non è una religione, ma una novità esistenziale. La fede non è un professare con le labbra delle verità dogmatiche (esclusivismo) o un astenersi pubblicamente dal fare certe cose e stigmatizzare chi invece quelle cose le fa e non ci trova nulla di amorale (moralismo spicciolo).
Oggi, il sentimento religioso, grazie all’efficace azione propagandistica messa in atto dalla Chiesa cattolica, viene sempre più identificato dall’opinione pubblica, da decenni succube dei media collusi coi poteri forti, con l’integralismo confessionale, per cui la religiosità/spiritualità di una persona è direttamente proporzionale al suo essere integralista , o fondamentalista
che dir si voglia. E’ inutile che ce lo nascondiamo: il fondamentalismo clericale ha conquistato un ampia fetta della società italiana, i cittadini italiani sono trattati dalla Chiesa alla stregua di soggetti in via di perdizione, un gregge smarrito sotto l’effetto del modernismo, del laicismo e dell’edonismo più sfrenato, da recuperare e addomesticare secondo il paradigma morale cattolico.
La Chiesa si è sempre limitata a tradurre il messaggio rivoluzionario del Vangelo in norme morali e giuridiche, in disciplina dottrinaria, che poi è la prima a non rispettare, predicando un obbedienza anche quando il cristiano, in quanto tale, avrebbe il dovere di non rispettare. I cristiani delle origini ,questa verità la sapevano bene, e infatti volentieri rischiavano la vita pur di non sottomettersi al culto idolatrico dell’imperatore, contrario alla loro fede e alla loro fedeltà al Vangelo.

Come insegna Padre Bergamaschi, il vero integralismo, o radicalismo cristiano (come lo ha battezzato Enzo Bianchi), non consiste affatto nel far osservare la dottrina a credenti e non credenti - ammesso e concesso che questa dottrina sia veramente ispirata al Vangelo -, piegare i fedeli ai dettami e ai capricci di una gerarchia ecclesiastica imbalsamata, ma consiste nell’annunciare il Vangelo e nell’insegnare un comandamento praticandolo per primi, essere cioè coerenti con ciò in cui si crede, il classico predicare bene, ma razzolare altrettanto bene, che non è una differenza da poco.

La vocazione del cristiano è una: testimoniare il messaggio evangelico. Tutto il resto è idolatria. Anche la morale, oggi tanto chiamata in causa e decantata come panacea di tutti i mali, è il cristiano che deve crearla in armonia con la novità del messaggio evangelico. Qualsiasi etica imposta a forza di diktat e di letture interessate del Vangelo è una prevaricazione che violenta le coscienze individuali.
L’idolatria è una tendenza che accomuna tutte le religioni. Mircea Eliade ha dimostrato con i suoi studi che l’uomo, dagli albori della storia, ha sempre creato “simboli” con i quali identificare la divinità: “"Un albero o una pianta non sono mai sacri in quanto albero o pianta; lo diventano partecipando a una realtà trascendente, lo diventano perché significano tale realtà trascendente" (Trattato di storia delle religioni, pag. 298). Quando simbolo e significazione coincidono, allora si ha idolatria, l’oggetto diventa dio stesso.
L’idolatria è l’elevare a Dio non solo una statua, un testo, un elemento naturale ecc., ma anche la stessa Chiesa e la sua interpretazione infallibile del mondo. Gli ebrei, che al tempo della vita terrena di Gesù elevarono al rango di Dio la stessa Legge, commisero un errore idolatrico, facendo di fatto coincidere il cosiddetto “legalismo farisaico” con la volontà del Padre. Invano Gesù cercò di insegnare loro che la fede non può e non deve diventare un contenitore vuoto da riempire con prescrizioni e rituali sterili.
Il Cristianesimo nasce come rifiuto della confusione tra Dio e Legge e come risposta teologica radicale al bisogno di “toccare” la divinità: Dio attraverso Gesù si fa uomo, si fa “prossimo”. Questo Figlio di Dio è un atto definitivo di Dio per l’umanità: è il suo farsi toccare una volta per tutte.

La fede è al tempo stesso una scelta, una proposta e una testimonianza radicale, che riguarda il nostro rapporto con noi stessi, con Dio, con il prossimo, in un’ottica di servizio, di solidarietà, di nonviolenza, di pace. La religione, invece, è tutto ciò che sta al di là dell’essenziale, è il “superfluo”, il dogma, il rito, e l’istituzione e il sacramento.
Il cristianesimo, nella sua dimensione terrena, deve essere scomodo. Un cristianesimo che scende a compromessi con il potere, con le oppressioni, con il legalismo di ieri e di oggi, è un cristianesimo che fallisce ancor prima di provare a realizzare il cambiamento. Ma il cambiamento, la metanoia, la metamorfosi, deve prima avvenire dentro di noi, altrimenti non saremo mai in grado di realizzarlo fuori di noi (meatanoia universale), di realizzare la trasfigurazione del mondo, cioè di prepararci all’avvento del Regno dei cieli. In tal senso, la Chiesa, se, è veramente detentrice del messaggio evangelico e della preservazione della sua genuinità, è chiamata ad elaborare una teologia della carità, a sposare una radicalità evangelica senza la quale la religione è adesione superflua al presente, che è ontologicamente un presente di ingiustizie, incompatibile con il Regno dei Cieli.
Come sostengono i teologi della Liberazione, le Chiese dovrebbero recuperare questa dimensione essenziale del Vangelo, che consiste nel saper concretizzare, nelle sperequazioni del mondo attuale, il discorso della montagna. Di fronte al discorso della montagna, si aprono due prospettive totalmente antitetiche: o ci si apre all’esperienza autentica degli altri, o la si nega dichiarandola non allineata con le Scritture, con la dottrina, con i dogmi ecc.

Dobbiamo, in sintesi, recuperare la centralità della “Teologia del Regno”.

Il nucleo centrale della “Teologia del Regno” è infatti il discorso della montagna.
Il discorso della montagna rappresenta un capovolgimento dei valori correnti: i ricchi sono umiliati, gli oppressi innalzati, i diseredati della terra sono i destinatari e i beneficiari del discorso, i veri depositari del Regno. Gesù interpreta messianicamente il passo di Isaia 61, e proclama l’anno del giubileo. Il giubileo concedeva la libertà agli schiavi e la ridistribuzione della terra. Ecco, Gesù proclama che le parole di Isaia si erano compiute con la sua Venuta, è giunto il tempo del Messia, Dio manifesta la sua misericordia ai poveri. Non è un caso che subito dopo aver affermato ciò, i Giudei complottino contro di lui per farlo fuori.
Ancora una volta, Gesù conferma che Dio è dove meno ci si aspetta, soprattutto dove non se Lo aspetta la casta politico-religiosa.

Quando Giovanni Battista, incarcerato a prossimo alla decapitazione, mandò a dire a Gesù per mezzo dei suoi discepoli: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?”. Gesù ripose: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me” (Mt. 11, 2-6).
Beato colui che non si scandalizza di me”, ossia beato colui che non si scandalizza di un Gesù che non si è messo a capo di un esercito con cui liberare la terra promessa dall’occupante romano, o che non è stato rampollo di una famiglia della nobiltà sacerdotale, come l’immaginario collettivo giudeo si aspettava.

Perché ebbi fame e mi deste da mangiare;
ebbi sete e mi deste da bere; fui pellegrino e mi ospitaste;
ero nudo e mi rivestiste;
infermo e mi visitaste;
carcerato e veniste e trovarmi.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao cara, è con immenso piacere che accedo per la prima volta al tuo blog nuovo di zecca. Sarò una tua lettrice accanita, contaci!

Salutoni

Francis

Anonimo ha detto...

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Gesù disse, "Se coloro che vi guidano vi diranno: "Ecco, il Regno è nei cieli", allora gli uccelli dei cieli vi precederanno. Se vi diranno: "E nei mari", allora i pesci vi precederanno. Il Regno, invece, è dentro di voi e fuori di voi. Vangelo di Tommaso, Loghion 3