I Vangeli parlano sempre dei sacrifici solo per rigettarli e negare loro ogni valore positivo. Al ritualismo farisaico Gesù oppone una frase antisacrificale di Osea: “Andate, dunque, a imparare il significato di questa parola: “Misericordia io voglio, non sacrificio”. (Matt. 9, 13). In un altro brano antisacrificale c'è molto più di un semplice precetto morale, c'é un accantonamento del culto sacrificale e al tempo stesso una rivelazione della sua funzione, ormai compiuta e decaduta:“Quando presenti la tua offerta all’altare, se lì ti ricordi che tuo fratello ha del risentimento contro di te, lascia la tua offerta là dinnanzi all’altare, e va prima a riconciliarti con tuo fratello; poi torna, e presenta allora la tua offerta”. (Matt. 5, 23-34).
Anche l'interpretazione della Passione in chiave sacrificale, che generalmente danno gli esegeti di Palazzo, non ha la minima aderenza al testo evangelico. Non c’è nulla nei Vangeli che suggerisca la morte di Gesù come un sacrificio. I passi invocati per giustificare la concezione sacrificale della Passione possono e devono essere interpretati al di fuori del sacrificio. Nei Vangeli la Passione ci è infatti presentata come un atto che arreca la salvezza all’umanità, ma in nessun caso come un sacrificio. Noi dobbiamo cioè recuperare solo la dimensione redentrice della Passione e abbandonare quella sacrificale. La lettura sacrificale della Passione deve essere criticata e dichiarata il più paradossale e il più colossale errore teologico di tutta la storia cristiana, e quella che allo stesso tempo rivela l’impotenza radicale dell’umanità di mettere in discussione i fondamenti violenti della propria società, anche quando sia a lei espressa nella maniera più esplicita.
Di tutti i rovesciamenti che la Chiesa ha imposto all’umanità, non ce n’è uno più grave di quello della lettura sacrificale della morte di Gesù. La lettura in chiave sacrificale del testo evangelico ne sovverte infatti il significato originario. Rigettare la lettura sacrificale significa assumere una prospettiva antropologica che rivela il testo nella sua autenticità primigenia, liberandolo dall’ipotesi della vittima espiatoria. Grazie alla lettura sacrificale ha potuto esistere, per venti secoli, quella che si chiama la cristianità, ossia una cultura fondata come tutte le culture, su forme mitologiche fondata sulla violenza. La cristianità è colpevole di aver prodotto il misconoscimento del testo evangelico e, basandosi su questo misconoscimento ermeneutico, di aver ripetuto forme culturali ancora sacrificali e generato una società che riflette la visione sacrificale, e che il Vangelo invece combatte.
Qualsiasi lettura sacrificale è incompatibile con il messaggio dei Vangeli, i quali rivelano senza mezzi termini il ruolo che il sacrifico ha avuto ed ha tuttora in tutte le culture e religioni. La rivelazione della violenza di tipo sacrificale messa in luce nel Vangelo rende del tutto inconcepibile ogni compromesso evangelico con il sacrificio/violenza: una simile concezione non può che dissimulare, ancora una volta, il significato vero della Passione e la funzione che i Vangeli le attribuiscono: sovvertire il sacrificio.
Ad una lettura superficiale di alcuni passi evangeli, la lettura non sacrificale sembra incontrare dei forti ostacoli, rappresentati ad es. dalla concezione violenta della divinità quale traspare nell’Apocalisse. In realtà nei Vangeli non c’è nulla di incompatibile con una lettura non sacrificale. Anche quegli elementi la cui presenza sembra contraria allo “spirito evangelico”, come il tema apocalittico, trovano spiegazione solo presupponendo una interpretazione non sacrificale, piuttosto che con una di tipo sacrificale. "Contrariamente a quanto si pensa, non c’è mai contraddizione tra la lettera e lo spirito; per raggiungere lo spirito basta abbandonarsi veramente, leggere semplicemente il testo senza aggiungervi o togliervi nulla." (René Girard).
Per avvalorare la validità della lettura non sacrificale bisogna partire dal presupposto che nulla di quanto i Vangeli affermano su Dio autorizza il postulato inevitabile cui giunge la lettura sacrificale della Epistola agli Ebrei. Questo postulato è stato formulato dalla teologia medioevale e presuppone una esigenza sacrificale del figlio da parte del Padre. Non solamente Dio reclama una nuova vittima, ma reclama la vittima più preziosa e cara, il suo stesso figlio. La lettura non sacrificale dimostra efficacemente l’assurdità di una tale esigenza. Questo postulato è riuscito più di ogni altra cosa, probabilmente, a screditare il cristianesimo nel mondo moderno agli occhi degli uomini di buona volontà, cioè per gli uomini che, pur non credenti, con le loro azioni e il loro comportamento quotidiano, fanno la volontà del Padre.
E in effetti l’esigenza sacrificale appare inaccettabile per il mondo moderno e contribuisce in larga misura al formarsi di quel sentimento di repulsa e disprezzo verso il cristianesimo “addomesticato” propagandato dalla Chiesa. Un cristianesimo basato sul sacrificio è intollerabile ed è divenuto la pietra d’inciampo per eccellenza per un mondo del tutto ribelle verso il sacrificale, e non senza giustificazione, anche se questa rivolta resta anch’essa impregnata di elementi sacrificali che finora nessuno è riuscito a estirpare. Un Dio che impone il sacrificio al proprio figlio è un Dio violento, un dio che accetta la violenza come iscritta nell’ordine naturale delle cose. In realtà, nessun passo evangelico autorizza ad attribuire alla divinità la minima violenza.
Al contrario, nei Vangeli ci è presentato un Dio estraneo a qualsiasi violenza. Se nell’Antico Testamento permangono tracce di una concezione vendicatrice di Dio, per via dell’incompiutezza della rivelazione, i Vangeli negano esplicitamente tale concezione portando così a compimento l’opera dell’Antico Testamento. Il testo fondamentale, quello che ci presenta Dio come estraneo a ogni vendetta, desideroso, di conseguenza, di vedere gli uomini rinunciare alla vendetta è Matt. 5, 44-45: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: Amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano; così sarete figli del Padre vostro che è nei cieli, poiché egli fa sorgere il suo sole sui cattivi, e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”.
Accanto al testo sopraccitato bisognerebbe tenere presenti anche quelli che negano ogni responsabilità divina nelle infermità, nelle malattie, nelle varie catastrofi in cui muoiono vittime innocenti e soprattutto, nei conflitti. Una pratica immemorabile e inconscia di tutte le religioni primitive è qui esplicitamente ripudiata, quella che consiste nell’attribuire alla divinità la responsabilità di tutti i mali del mondo. Gli esegeti che adottano questa interpretazione sono spesso accusati di costruire una divinità lontana e astratta, impassibile alla sorte degli uomini. In realtà, nel testo evangelico non si ha a che fare con un Dio indifferente, ma con un Dio che vuole farsi conoscere e può farsi conoscere dagli uomini soltanto ottenendo da essi quello che Gesù propone loro, cioè una riconciliazione senza riserve mentali e senza intermediario sacrificale, una riconciliazione che permetterebbe a Dio di rivelarsi qual è, per la prima volta nella storia umana.
Possiamo quindi affermare che l’ostacolo insormontabile alla piena rivelazione di Dio agli uomini è la mentalità sacrificale di cui è permeata l’umanità e che sta a fondamento di tutte le sue forme culturali. L’ateismo del mondo moderno è, in questa prospettiva, radicalmente incompatibile con una lettura non sacrificale. Esso, a causa del suo scetticismo verso qualsiasi dimensione spirituale e trascendente, è incapace di rivelare i meccanismi violenti, anzi, contribuisce a perpetuarli. Negare l’esistenza della divinità significa infatti negare che dietro alla rivelazione evangelica del fondamento vittimario ci sia la divinità non violenta. E’ la divinità che, tramite suo figlio, nei Vangeli svela la violenza fondatrice di tutte le culture umane.
Per giustificare la lettura sacrificale si è obbligati a postulare, tra il Padre e il Figlio, una specie di intesa segreta che verterebbe sul sacrifico in questione: il Padre chiederebbe al Figlio di sacrificarsi e il Figlio, obbedirebbe a questa ingiunzione. Questa idea incredibile è insostenibile del patto segreto tra il Padre e il Figlio è contraddetta esplicitamente da alcuni passi del Vangelo di Giovanni: Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; io vi chiamo amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio, l’ho fatto conoscere a voi (Gv. 15, 15).
Qui siamo di fronte allo sgretolamento delle letture sacrificali, che hanno finora impedito alla potenza sovversiva del testo evangelico di mettere radici in mezzo agli uomini. La lettura non sacrificale è superiore rispetto a qualsiasi interpretazione che evochi il sacrificale, perché è l’unica che svela il meccanismo violento.
Anche l'interpretazione della Passione in chiave sacrificale, che generalmente danno gli esegeti di Palazzo, non ha la minima aderenza al testo evangelico. Non c’è nulla nei Vangeli che suggerisca la morte di Gesù come un sacrificio. I passi invocati per giustificare la concezione sacrificale della Passione possono e devono essere interpretati al di fuori del sacrificio. Nei Vangeli la Passione ci è infatti presentata come un atto che arreca la salvezza all’umanità, ma in nessun caso come un sacrificio. Noi dobbiamo cioè recuperare solo la dimensione redentrice della Passione e abbandonare quella sacrificale. La lettura sacrificale della Passione deve essere criticata e dichiarata il più paradossale e il più colossale errore teologico di tutta la storia cristiana, e quella che allo stesso tempo rivela l’impotenza radicale dell’umanità di mettere in discussione i fondamenti violenti della propria società, anche quando sia a lei espressa nella maniera più esplicita.
Di tutti i rovesciamenti che la Chiesa ha imposto all’umanità, non ce n’è uno più grave di quello della lettura sacrificale della morte di Gesù. La lettura in chiave sacrificale del testo evangelico ne sovverte infatti il significato originario. Rigettare la lettura sacrificale significa assumere una prospettiva antropologica che rivela il testo nella sua autenticità primigenia, liberandolo dall’ipotesi della vittima espiatoria. Grazie alla lettura sacrificale ha potuto esistere, per venti secoli, quella che si chiama la cristianità, ossia una cultura fondata come tutte le culture, su forme mitologiche fondata sulla violenza. La cristianità è colpevole di aver prodotto il misconoscimento del testo evangelico e, basandosi su questo misconoscimento ermeneutico, di aver ripetuto forme culturali ancora sacrificali e generato una società che riflette la visione sacrificale, e che il Vangelo invece combatte.
Qualsiasi lettura sacrificale è incompatibile con il messaggio dei Vangeli, i quali rivelano senza mezzi termini il ruolo che il sacrifico ha avuto ed ha tuttora in tutte le culture e religioni. La rivelazione della violenza di tipo sacrificale messa in luce nel Vangelo rende del tutto inconcepibile ogni compromesso evangelico con il sacrificio/violenza: una simile concezione non può che dissimulare, ancora una volta, il significato vero della Passione e la funzione che i Vangeli le attribuiscono: sovvertire il sacrificio.
Ad una lettura superficiale di alcuni passi evangeli, la lettura non sacrificale sembra incontrare dei forti ostacoli, rappresentati ad es. dalla concezione violenta della divinità quale traspare nell’Apocalisse. In realtà nei Vangeli non c’è nulla di incompatibile con una lettura non sacrificale. Anche quegli elementi la cui presenza sembra contraria allo “spirito evangelico”, come il tema apocalittico, trovano spiegazione solo presupponendo una interpretazione non sacrificale, piuttosto che con una di tipo sacrificale. "Contrariamente a quanto si pensa, non c’è mai contraddizione tra la lettera e lo spirito; per raggiungere lo spirito basta abbandonarsi veramente, leggere semplicemente il testo senza aggiungervi o togliervi nulla." (René Girard).
Per avvalorare la validità della lettura non sacrificale bisogna partire dal presupposto che nulla di quanto i Vangeli affermano su Dio autorizza il postulato inevitabile cui giunge la lettura sacrificale della Epistola agli Ebrei. Questo postulato è stato formulato dalla teologia medioevale e presuppone una esigenza sacrificale del figlio da parte del Padre. Non solamente Dio reclama una nuova vittima, ma reclama la vittima più preziosa e cara, il suo stesso figlio. La lettura non sacrificale dimostra efficacemente l’assurdità di una tale esigenza. Questo postulato è riuscito più di ogni altra cosa, probabilmente, a screditare il cristianesimo nel mondo moderno agli occhi degli uomini di buona volontà, cioè per gli uomini che, pur non credenti, con le loro azioni e il loro comportamento quotidiano, fanno la volontà del Padre.
E in effetti l’esigenza sacrificale appare inaccettabile per il mondo moderno e contribuisce in larga misura al formarsi di quel sentimento di repulsa e disprezzo verso il cristianesimo “addomesticato” propagandato dalla Chiesa. Un cristianesimo basato sul sacrificio è intollerabile ed è divenuto la pietra d’inciampo per eccellenza per un mondo del tutto ribelle verso il sacrificale, e non senza giustificazione, anche se questa rivolta resta anch’essa impregnata di elementi sacrificali che finora nessuno è riuscito a estirpare. Un Dio che impone il sacrificio al proprio figlio è un Dio violento, un dio che accetta la violenza come iscritta nell’ordine naturale delle cose. In realtà, nessun passo evangelico autorizza ad attribuire alla divinità la minima violenza.
Al contrario, nei Vangeli ci è presentato un Dio estraneo a qualsiasi violenza. Se nell’Antico Testamento permangono tracce di una concezione vendicatrice di Dio, per via dell’incompiutezza della rivelazione, i Vangeli negano esplicitamente tale concezione portando così a compimento l’opera dell’Antico Testamento. Il testo fondamentale, quello che ci presenta Dio come estraneo a ogni vendetta, desideroso, di conseguenza, di vedere gli uomini rinunciare alla vendetta è Matt. 5, 44-45: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: Amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano; così sarete figli del Padre vostro che è nei cieli, poiché egli fa sorgere il suo sole sui cattivi, e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”.
Accanto al testo sopraccitato bisognerebbe tenere presenti anche quelli che negano ogni responsabilità divina nelle infermità, nelle malattie, nelle varie catastrofi in cui muoiono vittime innocenti e soprattutto, nei conflitti. Una pratica immemorabile e inconscia di tutte le religioni primitive è qui esplicitamente ripudiata, quella che consiste nell’attribuire alla divinità la responsabilità di tutti i mali del mondo. Gli esegeti che adottano questa interpretazione sono spesso accusati di costruire una divinità lontana e astratta, impassibile alla sorte degli uomini. In realtà, nel testo evangelico non si ha a che fare con un Dio indifferente, ma con un Dio che vuole farsi conoscere e può farsi conoscere dagli uomini soltanto ottenendo da essi quello che Gesù propone loro, cioè una riconciliazione senza riserve mentali e senza intermediario sacrificale, una riconciliazione che permetterebbe a Dio di rivelarsi qual è, per la prima volta nella storia umana.
Possiamo quindi affermare che l’ostacolo insormontabile alla piena rivelazione di Dio agli uomini è la mentalità sacrificale di cui è permeata l’umanità e che sta a fondamento di tutte le sue forme culturali. L’ateismo del mondo moderno è, in questa prospettiva, radicalmente incompatibile con una lettura non sacrificale. Esso, a causa del suo scetticismo verso qualsiasi dimensione spirituale e trascendente, è incapace di rivelare i meccanismi violenti, anzi, contribuisce a perpetuarli. Negare l’esistenza della divinità significa infatti negare che dietro alla rivelazione evangelica del fondamento vittimario ci sia la divinità non violenta. E’ la divinità che, tramite suo figlio, nei Vangeli svela la violenza fondatrice di tutte le culture umane.
Per giustificare la lettura sacrificale si è obbligati a postulare, tra il Padre e il Figlio, una specie di intesa segreta che verterebbe sul sacrifico in questione: il Padre chiederebbe al Figlio di sacrificarsi e il Figlio, obbedirebbe a questa ingiunzione. Questa idea incredibile è insostenibile del patto segreto tra il Padre e il Figlio è contraddetta esplicitamente da alcuni passi del Vangelo di Giovanni: Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; io vi chiamo amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio, l’ho fatto conoscere a voi (Gv. 15, 15).
Qui siamo di fronte allo sgretolamento delle letture sacrificali, che hanno finora impedito alla potenza sovversiva del testo evangelico di mettere radici in mezzo agli uomini. La lettura non sacrificale è superiore rispetto a qualsiasi interpretazione che evochi il sacrificale, perché è l’unica che svela il meccanismo violento.
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