Il punti di approdo della prima parte di questa trattazione sono i seguenti:
- Il Regno dei cieli è l'amore sostituito a tutto l'apparato dei rituali e dei divieti.
- Il Regno è l'eliminazione della vendetta nei rapporti tra gli uomini.
- La violenza non è concepita come un istinto umano, inestirpabile dalla natura umana. Al contrario, Gesù dimostra che ci si può liberare dalla violenza.
- La violenza è sovrapposta alla schaivitu, essa produce negli uomini una visione falsificante non solo della religione e della divinità, ma di tutta la reltà.
- L'obbedienza o la disubbidienza alla regola dell'amore genera due Regni contrapposti che non possono comunicare l'uno con l'altro. Gesù è il profeta del Regno dell'amore.
Gesù realizza una rottura definitiva con l'Antico Testamento, rottura che si traduce nell'eliminazione della pratica sacrificale e nella fine della concezione della divinità violenta. Infatti, nell'Antico Testamento la desacralizzazione dei miti, dei rituali e della stessa Legge, sui quali si reggeva la pratica sacrificale, non può realizzarsi completamente a causa dell'incompiutezza della rivelazione. Di conseguenza, anche il filone del profetismo pre e post-esilico rimane intrappolato nella concezione violenta della divinità, alimentando, ad esempio, la speranza in un "giorno di Yahvè", una nuova epifania della violenza nella quale Dio avrebbe manifestato la sua collera contro gli empi.
La differenza tra Antico Testamento e Nuovo Testamento consiste proprio rispettivamente nella presenza e assenza dell'idea della purificazione violenta del mondo ad opera di Dio. Per la precisione, lo spirito autentico del Vangelo desacralizza la violenza divina presupposta dall'Antico Testamento. Purtroppo, nel corso dei secoli, la Chiesa ha risacralizzato il Vangelo, dandone così una interpretazione in linea con la mentalità sacrificale. Anche i moderni esegeti, sia credenti che non, si accodano a una lettura di stampo medioevale del Vangelo, regredendo così a una concezione veterotestamentaria che Gesù ha cercato di demolire. I primi, infatti, fanno propria la concezione di un Dio violento che porrà fine agli abomini di una umanità peccatrice e smarrita; i secondi, invece, si limitano a denunciare tale concezione e non mettono mai in discussione la lettura che il cristianesimo ufficiale fa di questi testi.
Per accreditare la concezione sacrificale della divinità, i propugnatori del cristianesimo sacrificale citano spesso la parabola dei vignaioli omicidi di Luca 20, 15-16 in cui Gesù pronucierebbe le seguenti parole: "farà perire i vignaioli infedeli e ne metterà degli altri al loro posto”. La stessa parabola è riportata nel Vangelo di Matteo, in una versione però leggermente differente rispetto a quelle di Marco e Luca: "quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli? Gli risposero: “Farà perire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo." (Mt. 21, 40-41). Come si può notare, in Matteo non è Gesù a pronuncarsi, ma i suoi discepoli. Gesù, dunque, lascia che i discepoli si assumano la responsabilità della risposta, e infatti la risposta non può che essere conforme al pensiero dei discepoli, che è un pensiero di matrice sacrificale, che presuppone l'esistenza di una divinità violenta.
Un altro testo su cui fanno perno i sostenitori del cristianesimo sacrificale per legittimare le proprie concezioni, è l'Apocalisse.
L’apocalisse di Giovanni sembra giustificare, a prima vista, una lettura in chiave sacrificale dellla rivelazione. In effetti, il tema apocalittico sembra rappresentare una regressione verso la concezione violenta della divinità e, per certi aspetti, sembra inconciliabile con la predicazione del Regno di Dio annunciata da Gesù. E. Renan nel XIX sec. si è sforzato di spiegare questa contraddizione postulando l'esistenta di due Vangeli: una predicazione originaria che apparterrebbe solamente al Gesù “storico” più o meno arbitrariamente ricostruito, e una ripresa e una distorsione di questa predicazione in forma teologica, a partire da Paolo di Tarso in poi.
La sottoscritta è invece convinta che anche i testi passibili di interpretazione sacrificale possano essere perfettamente inquadrati in una cornice non sacrificale. Il punto di partenza è capire che la violenza apocalittica preannunciata dai Vangeli non è di origine divina. Questa violenza, nei Vangeli, è sempre riferita agli uomini, non a Dio. Il fatto che le immagini che descrivono l’apocalisse siano attinte dall’Antico Testamento può trarre in inganno il lettore, portandolo alla conclusione che quelle stesse immagini che nell’Antico Testamento sono associate alla collera e alla vendetta divine, siano espressione, nell’Apocalisse, della violenza della Divinità.
"Sentirete anche parlare di guerre e rumori di guerre; badate bene di non allarmarvi: perché bisogna che ciò avvenga, ma non è ancora la fine. Si leverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno” (Matt. 24, 6-7). La violenza apocalittica nei Vangeli è sempre riferita agli uomini, e mai a Dio. Gli esegeti non se ne rendono conto perché leggono i testi alla luce del Vecchio Testamento (nel quale effettivamente la divinità è partecipe della violenza) e rimangono fedeli alla teologia medioevale imbevuta di cultura sacrificale.
In realtà, nell’Apocalisse nessun regista divino conduce il gioco; proprio la totale assenza di Dio, prima del giudizio, conferisce a questi testi l’immagine di una umanità come unica responsabile della propria degenerazione: “E vi saranno dei segni nel sole, nella luna e nelle stelle. Sulla terra le nazioni si troveranno in angoscia, sbigottite dal rimbombo del mare e dei suoi flutti; gli uomini moriranno di spavento, nell’attesa di ciò che minaccerà il mondo, perché le potenze dei cieli saranno scosse” (Lc. 21, 25-26). Le potenze citate nel versetto di Luca non possono riferirsi alla divinità. Le potenze dei cieli non hanno nulla a che vedere né con Gesù né con suo Padre. Sono loro che hanno dominato il mondo sin dall’inizio dei tempi. Queste potenze mondane ricevono i nomi più diversi nel Nuovo Testamento; possono essere presentate sia come umane sia come demoniache e sataniche, sia anche come angeliche. Quando Paolo afferma che non è stato Dio a promulgare la legge ebraica ma un suo angelo, intende con ciò dire che questa legge è vincolata ancora a tali potenze. A seconda dei periodi storici e dopo l’intervento di Gesù nella storia umana, queste “potenze dei cieli” appariranno o come forze positive che mantengono l’ordine e impediscono agli uomini di distruggersi tra loro nell’attesa del vero Dio, oppure al contrario come dei veli e degli ostacoli che ritardano la pienezza della rivelazione.
I Vangeli ci annunciano incessantemente che Gesù deve trionfare su queste potenze, che in altre parole egli sta per desacralizzarle, ma i Vangeli risalgono nel loro insieme al primo secolo della nostra era, ossia a un’epoca nella quale questa opera di desacralizzazione è, evidentemente, ben lungi dall’essere compiuta. Perciò i redattori del Nuovo Testamento non possono fare a meno di ricorrere per designare queste potenze, a espressioni ancora contrassegnate dal simbolismo violento, anche quando essi annunciano la loro totale desacralizzazione. . Nel momento in cui queste potenze credono di trionfare, nel momento in cui la Parola che le rivela e le denuncia come fondamentalmente violente è ridotta al silenzio dalla crocifissione, che rappresenta un nuovo assassinio e una nuova violenza, queste potenze in realtà sono vinte una volta per tutte.
Le potenze illusiorie e gli uomini vittime di tali potenze sono scandalizzati da un Dio inchiodato alla croce: per costoro costituisce motivo di scandalo che Colui che si dichiara il Figlio di Dio possa essere messo in croce come un comune malfattore. Per razionalizzare l'assurdità del fatto inaudito, gli uomini hanno confezionato il mito della vittima espiatoria, l'agnello sacrificale che toglie i peccati del mondo, non capendo che con questa operazione simbolica ricadono nuovamente nella mentalità sacrificale che esige un sacrificio per pareggiare i conti con Dio. In virtù di questa operazione che sconfessa il carattere propriamente violento e ingiusto della morte di Gesù, i difensori del sacrificale di fatto propongono una visione edulcorata e falsificante della crocifissione che li scarica parzialmente dalle loro responsabilità: nella prospettiva sacrificale, il Cristo crocefisso non appare più come una vittima a tutti gli effetti, ma come una vittima che si è offerta spontaneamente per salvare il mondo dal peccato. Si tratta di una operazione di pura demistificazione: affermare che Gesù è morto in un sacrificio, equivale a riabilitare il mondo che Lo ha rifiutato. Infatti, nella prospettiva sacrificale, gli assassini sono solo gli esecutori della volontà divina. Se c'é stato un capovolgimento così dannoso nella storia del cristianesimo, questo andrebbe proprio identificato con l'esigenza sacrificale della morte di Gesù. E invece Gesù, fra tutte le vittime mai esistite, è stata la sola capace di rivelare la vera natura della violenza.
Gesù combatte contro il sacrificio e, in generale, contro tutte le istituzioni che legittimano la violenza. I rappresentanti di quelle istituzioni, per farlo tacere una volta per tutte, lo inchiodano alla croce. Ma Gesù resuscita, vince sulla morte e su coloro che ne avevano decretato la pena capitale e con Lui resuscita anche la Parola che ha rivelato al mondo.
"La pietra che gli edificatori avevano scartato, è diventata la pietra angolare? Chiunque cadrà sopra questa pietra si sfracellerà e colui sul quale essa cadrà sarà stritolaro" (Luca, 20, 17-18).
La pietra angolare è Cristo; colui che cade su questa pietra è l'umanità intera che si scandalizza della croce: "contro di essa urteranno coloro che non credono alla Parola; a questo, infatti, sono stati destinati" (Pietro 2,8).
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